Negli ultimi mesi, il prezzo dell’oro ha raggiunto livelli storicamente elevati, toccando e spesso superando la soglia dei 3.000 dollari per oncia secondo le proiezioni più recenti, con una media prevista attorno ai 2.500-3.200 dollari nel 2025. Questo trend rialzista ha destato preoccupazione tra economisti e investitori, alimentando interrogativi sulle cause sottostanti e sulle possibili implicazioni per l’economia globale. Diverse sono le componenti, alcune molto visibili, altre più subdole e di natura strutturale, che stanno trainando questa corsa all’oro.
Un contesto di incertezza globale
La domanda di oro si rafforza soprattutto nei periodi di elevata incertezza geopolitica e instabilità finanziaria. Le turbolenze degli ultimi anni, alimentate da conflitti internazionali—come le tensioni tra Israele e Iran, e la guerra fra Russia e Ucraina—hanno innalzato le percezioni di rischio tra investitori e governi. In questi frangenti, l’oro assume il ruolo di bene rifugio, cioè di riserva di valore in grado di proteggere i capitali durante le fasi di volatilità dei mercati azionari e di svalutazione delle valute.
Questa funzione di “porto sicuro” non è solo teorica: i dati empirici mostrano che nei momenti di crisi o di crescita dell’inflazione, il prezzo dell’oro tende a salire per la crescente domanda sia da parte degli investitori istituzionali che privati. Le politiche restrittive degli Stati Uniti e l’espansione di tensioni commerciali internazionali aggravano ulteriormente la percezione di rischio sistemico, favorendo la corsa verso l’oro come asset di diversificazione e tutela del patrimonio.
Il ruolo delle banche centrali e delle riserve strategiche
Un aspetto meno visibile ma di enorme rilevanza riguarda l’operato delle banche centrali sulla scena internazionale. Negli ultimi trimestri, gli istituti centrali hanno incrementato in modo massiccio il volume di acquisti di oro da detenere nelle riserve. Goldman Sachs, ad esempio, evidenzia come la richiesta da parte delle banche centrali sia aumentata in modo strutturale, passando da 17 tonnellate mensili prima del 2022 fino a 50 tonnellate al mese a dicembre 2024, con la sola Cina protagonista di acquisti per 45 tonnellate in un singolo periodo.
Nel 2024 si sono registrate 694 tonnellate di oro aggiunte alle riserve mondiali, confermando una tendenza che vede molti governi riadattare i propri portafogli in chiave prudenziale. Questo fenomeno si collega alla volontà di diversificare le riserve valutarie riducendo l’esposizione verso il dollaro statunitense, in particolare in presenza di incertezza sulle politiche fiscali USA e sul loro elevato debito pubblico.
L’attuale ciclo di acquisti istituzionali rappresenta un elemento capace di spingere le quotazioni dell’oro anche in condizioni di mercato meno favorevoli, dato il peso strategico che le banche centrali rivestono nei trend a medio-lungo termine.
Tensioni macroeconomiche e politiche monetarie
Tra le cause meno evidenti che sostengono la crescita del prezzo dell’oro spiccano gli effetti delle politiche monetarie espansive messe in campo in risposta a crisi pandemiche e recessioni. La massiccia iniezione di liquidità nei mercati e i tassi di interesse reali spesso negativi hanno eroso la fiducia nelle tradizionali forme di risparmio e investimento, come obbligazioni e depositi bancari.
Un’altra variabile fondamentale è rappresentata dall’andamento del debito pubblico degli Stati Uniti e di altre grandi economie, che tocca livelli mai visti prima. Secondo HSBC, la crescente incertezza sulla sostenibilità del debito e i dubbi sulle possibili ripercussioni future spalancano la porta a una domanda sempre maggiore di oro come “assicurazione” contro scenari di crisi fiscale e monetaria.
A tutto ciò si aggiunge la volatilità valutaria e una certa debolezza del dollaro, ulteriormente alimentata dalle tensioni commerciali e dai dazi. Una valuta americana debole rende più interessante l’oro per gli investitori internazionali, accentuando la pressione rialzista sui prezzi.
La domanda privata e il ruolo dei grandi investitori
Sebbene l’attenzione si soffermi spesso sui grandi numeri generati dalle banche centrali, è importante non trascurare il crescente coinvolgimento di investitori al dettaglio, soprattutto in Asia, che alimentano ulteriore domanda di oro fisico e finanziario. Questa tendenza si nota in particolare durante i picchi di instabilità finanziaria, quando si teme un tracollo dei mercati azionari e delle criptovalute.
Un’altra componente di rilievo, secondo gli analisti, è data dai fondi sovrani e dai grandi fondi speculativi, che gestiscono capitali ingenti e influenzano i movimenti del mercato anche nel breve termine. Questi operatori, spesso capaci di generare forti oscillazioni nell’arco di poche settimane, contribuiscono a stabilizzare i prezzi dell’oro mantenendoli su livelli elevati anche in presenza di correzioni improvvise.
Fattori tecnici e comportamento degli ETF
Infine, tra le variabili che agiscono “dietro le quinte”, va ricordato il ruolo crescente degli ETF sull’oro, prodotti finanziari che consentono agli investitori di esporsi all’oro senza acquistarlo fisicamente. Una migrazione significativa della ricchezza finanziaria verso questi strumenti contribuisce a drenare offerta sul mercato spot, favorendo ulteriori rialzi.
La prospettiva degli esperti, tra cui le principali banche internazionali citate, indica che la somma di tutti questi fattori strutturali e contingenti potrebbe portare l’oro a nuovi record storici tra la fine del 2025 e il 2026, con oscillazioni possibili in una forbice compresa tra i 3.100 e i 3.600 dollari per oncia, a seconda dell’evoluzione degli equilibri economici e geopolitici mondiali.
Le preoccupazioni degli economisti: implicazioni e rischi
Il caro oro preoccupa sempre più economisti e analisti per le sue possibili ricadute sull’intero sistema finanziario. Da una parte, il boom delle quotazioni può essere interpretato come un segnale di sfiducia generale nella tenuta delle politiche monetarie e fiscali. Dall’altra, rischi di frenare la crescita economica in quanto l’oro, quando diventa eccessivamente ambito, può drenare capitali utili a sostenere investimenti produttivi e sviluppo tecnologico.
Anche sul fronte privato, il rischio è che la ricerca di sicurezza porti a uno spostamento massiccio dall’economia reale verso strumenti passivi o riserve improduttive, facilmente influenzabili da rumors, paure e speculazioni di breve periodo. L’incertezza sulle possibili mosse future delle banche centrali—che potrebbero modificare rapidamente le proprie politiche in risposta a shock esterni—aggiunge ulteriore volatilità e rende difficile per famiglie e imprese pianificare su orizzonti di lungo termine.
In sintesi, il prezzo dell’oro “alle stelle” è frutto di un intreccio di fattori geopolitici, macroeconomici e tecnici che coinvolgono tanto i grandi attori istituzionali quanto i piccoli risparmiatori, riflettendo tensioni sistemiche di fondo e aspettative di una futura instabilità globale. Monitorare attentamente queste dinamiche sarà fondamentale per valutare i possibili scenari evolutivi e le conseguenze che ne deriveranno per i mercati finanziari e l’economia reale nei prossimi anni.